mercoledì 13 ottobre 2010

AFGHANISTAN. DECIDERSI E IN FRETTA !! di Fabrizio Vaccaro

Gianmarco Manca ( 32 anni, di Alghero), Marco Pedone (23 anni, di Gagliano del Capo in provincia di Lecce), Sebastiano Ville (27 anni, di Francofonte), Francesco Vannozzi (26 anni, di Pisa). Quattro ragazzi come altri. Quattro soldati del 2010 morti in Afghanistan il 9 Ottobre scorso in nome della democrazia, della libertà, della giustizia. Con loro sale a 34 il numero dei militari italiani morti in Afghanistan dall’inizio della missione ISAF nel 2004. Stamani, al rientro delle salme in Italia, la solita amarezza e rabbia da parte dei familiari, la solita composta partecipazione da parte delle autorità. Giustamente tra l’intellighenzia italiana c’è chi li definisce eroi. Ed è perlomeno consolatorio pensare che la loro morte non è stata vana, che la loro missione avesse un senso. In effetti, se guardiamo l’Afghanistan talebano di 10 anni fa, vediamo i più basilari diritti dell’uomo calpestati in nome di un fondamentalismo religioso paragonabile alle follie naziste. Le donne non possono truccarsi, andare in giro da sole, studiare, mostrare il volto in pubblico, opporsi alle violenze altrui, le lapidazioni sono all’ordine del giorno, è vietato ascoltare la musica rock, è vietato guardare un film, è vietato per gli uomini non portare la barba. Se andiamo oltre la demagogica opposizione di molte sinistre all’intervento armato all’estero, notiamo che ciò che sta dietro l’invasione dell’Afghanistan è ben diverso da ciò che sta dietro l’invasione dell’Iraq. E pur ammettendo che in entrambi i casi il fine primo è il controllo politico-economico del Medio Oriente, almeno in Afghanistan si è compiuto pure un nobile atto di solidarietà umana. Anche per questo i nostri ragazzi sono morti. Tuttavia suona come un duro schiaffo morale sentire il presidente afghano Karzhai ( sostenuto dal blocco occidentale) confessare che da anni si tratta con i talebani; assistere inermi ai vili brogli delle prime elezioni dell’Afghanistan moderno; constatare che la maggior parte del Paese è tornato, nel giro di pochi anni, sotto il controllo talebano. A ciò si aggiungono le nefandezze di una guerra che si protrae ormai da troppo tempo, e che ha penalizzato in massima parte la popolazione civile, infondendo diffidenza nei confronti degli occidentali. Insomma, una felice risoluzione della missione occidentale sembra oggi lontana se le forze in campo resteranno immutate. E’ tuttavia auspicabile che gli errori del Vietnam non vengano ricommessi. Anche questa è una guerra, e la guerra non è un gioco: di mezzo ci sono vite umane. Bisogna tener conto di mogli che non abbracceranno più i loro mariti, di genitori che sopravviveranno ai loro figli, di figli che non vedranno mai i loro papà. I soldati che vanno a combattere sono ragazzi come noi diventati eroi, per volontà o necessità; ma essere eroi non riporta in vita. E’ dunque necessario che le potenze occidentali tengano conto di tutto questo nel decidere cosa fare nel futuro. Continuare così vuol dire soltanto fare un gioco al massacro. Il nemico talebano, che dispone di ampie risorse dalla dubbia provenienza, è un nemico invisibile che uccide anche i soldati meglio equipaggiati. Ha per di più dalla sua parte una determinazione spaventosa. Ciò rende questa guerra diversa dalle altre, tranquillamente assimilabile al Vietnam per difficoltà. Tuttavia, proprio per questo, ridurre i contingenti militari di stanza nel paese equivarrebbe a gettare la spugna, e le morti che ne conseguirebbero sarebbero senz’altro evitabili. Anche mantenere l’ambiguo atteggiamento di questi ultimi mesi è altrettanto controproducente. Se si vuole assestare il colpo di grazia ai talebani non sono permesse indecisioni circa l’opportunità o meno di questa guerra. Se invece ci si ritira, si salveranno senz’altro vite occidentali, ma si condannerà l’Afghanistan al buio della dittatura talebana. L’Italia può e deve dire la sua sulla situazione senza timori reverenziali, o con un immediato ritiro o con un rinnovato impegno, salvaguardando però le vite dei propri ragazzi-soldati. "Ministro si goda lo spettacolo!" ha urlato oggi lo zio di uno dei quattro ragazzi. Il suo dolore è comprensibile e a lui e alle famiglie il circolo "Ezra Pound" si unisce nel salutare i quattro nostri fratelli che ci hanno lasciato. Con la speranza di tempi migliori per noi e per gli Afghani. Con la speranza che non ci siano morti inutili.


Roma, 11/10/2010

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