giovedì 6 giugno 2013

NIGEL FARAGE, LA DESTRA CHE SPOPOLA, DIRETTAMENTE DALL'INGHILTERRA.

“Ci è stato detto che quando avremmo visto un presidente, avremmo avuto una gigante e globale figura politica. L’uomo che sarebbe stato il leader di 500 milioni di persone, che avrebbe rappresentato tutti noi sulla scena mondiale, svolgendo un lavoro così importante da meritare di essere pagato di più del Presidente Obama. Beh, ho paura che quello che abbiamo avuto sia Lei. Mi dispiace, ma dopo la precedente performance da Lei fatta, non voglio essere rude ma onestamente Lei ha il carisma di uno straccio umido e l’apparenza di un impiegato di banca di basso rango. E la domanda che vorrei porre, a nome di noi tutti è : chi è Lei? Io non ho mai sentito parlare di Lei, nessuno in Europa ha mai sentito parlare di Lei! Chi l’ha votata?”
Con queste parole, pronunciate il 24 febbraio a Strasburgo, l’eurodeputato inglese Nigel Farage si è rivolto al Presidente del Consiglio Europeo Herman Van Rompuy, lamentando un deficit nella legittimazione democratica delle Istituzioni Europee e paventando al contempo una deriva delle stesse in senso oligarchico, a discapito di tutti i popoli europei. Ma chi è Nigel Farage? 
È il leader dell’UKIP (United Kingdom Indipendence Party) e capogruppo a Strasburgo dell’EFD (Europe for Freedom and Democracy, lo stesso eurogruppo parlamentare cui aderisce la Lega Nord, tra gli altri), entrato in politica nel 1993 con un unico obiettivo : far uscire il suo paese, la Gran Bretagna, dall’Unione Europea. E oggi quell’obiettivo appare tutt’altro che lontano, giacché il Parlamento Inglese a maggioranza tory ha avviato l’iter per un referendum confermativo sulla permanenza dello UK nell’Unione, iter che dovrebbe concludersi con tutta probabilità nel 2017 quando i cittadini inglesi potranno finalmente esprimersi su un tema che anche qui nelle lande italiche è stato affrontato, forse con troppa disinvoltura, da altri movimenti che si pongono come rottura del tradizionale sistema bipolare.
Con la differenza che il partito di Farage la rottura l’ha fatta veramente, in un sistema che da più di 300 anni si fonda sull’alternanza indiscussa tra whigs e tories, sinistra e destra, progressisti e conservatori. Nothing else. Almeno così sembrava. Invece alle ultime elezioni locali lo UKIP ha ottenuto risultati strabilianti, con il 25 % dei voti totali; nel Kentshire, contea agricola tradizionalmente feudo dei tories, ha addirittura ottenuto 7 consiglieri su 8. 
Il Guardian, pochi giorni fa, l’ha correttamente definito “lo sfidante di maggior successo dei principali partiti politici dal dopoguerra ad oggi”. Un partito che dunque fa dell’euroscetticismo, della sovranità popolare, della lotta all’immigrazione incontrollata e del sostegno al ceto medio in difficoltà i suoi punti programmatici forti, punti che stanno convincendo sempre di più l’elettorato inglese. 
Programmi e idee concrete senz’altro ascrivibili a un partito di Destra, quella vera, che lotta nell’interesse del popolo, ma guai a pensare che gli elettori dello UKIP siano tutti fuoriusciti dall’area conservatrice. 
Il partito di Farage ha fatto breccia anche nell’area degli elettori Lab, quella “working-class” (soprattutto la low working-class), che soffre oggi per la mancanza d’impresa e imputa ai capi Laburisti una presa di distanze inaccettabile dal proprio elettorato e un’inadeguatezza sostanziale alla difesa dei propri interessi (vi ricorda qualcosa?). Lo UKIP ha sostanzialmente rielaborato quel sentimento di rabbia e frustrazione che oggi domina tra le classi sociali meno protette in Inghilterra, esposte senz’altro alla crisi ma anche agli effetti della concorrenza sleale delle working class importate, soprattutto dai paesi dell’Eurozona orientale (Slovacchia, Romania e Bulgaria in primis), oltre ad essersi inserito in un’area elettorale, quella contraria alle politiche di austerity made in Bruxelles, lasciata colpevolmente libera dai partiti principali, a Londra come nella nostra Italia.
Possiamo dunque definire Nigel Farage in vari modi : Leader Europeo degli Euroscettici, il Grillo Inglese, il terzo incomodo, e via dicendo. 
Più concretamente, è possibile intravedere in Farage e nel suo partito un modello organizzativo e programmatico per la nuova Destra Italiana che sarà, nella speranza che riesca a ricomporre i cocci del post-AN ritrovando un’anima identitaria, per poi inserirsi con autorevolezza all’interno di un dibattito politico che sembra oggi affievolito più che mai, complici le larghe intese e il sempre più ridotto margine di discrezionalità a favore di Parlamento ed Esecutivo, ormai vincolati alle ricette asfissianti e dolorose dell’euroburocrazia.

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