venerdì 16 marzo 2012

LE NOZZE GAY: HA RAGIONE L'EUROPA O IL NOSTRO ORDINAMENTO GIURIDICO? di Walter Bressi

Molti di noi avranno sicuramente notato come i mezzi di informazione siano recentemente egemonizzati da concetti quali “spread”, “eurobond”, “articolo 18”, “governo tecnico”, finendo con i più illustri e delicati casi di cronaca nera. Tutti argomenti meritevoli della massima attenzione e serietà. 

È notizia altrettanto recente, però, che il Parlamento Europeo, in data 13 marzo, abbia approvato una risoluzione in cui "si rammarica dell’adozione da parte di alcuni Stati membri di definizioni restrittive di "famiglia" con lo scopo di negare la tutela giuridica alle coppie dello stesso sesso e ai loro figli". Sconcertante è la novità di cui siamo venuti a conoscenza, cioè che basta un voto “parlamentare” per poter magicamente far nascere dei bambini da coppie dello stesso sesso. Ma c’è di più. Ciò che implicitamente fa il Parlamento Europeo, è auto-attribuirsi una competenza legislativa non prevista dal Trattato di Lisbona, invadendo indebitamente le prerogative degli stati membri.


Un attacco neanche tanto velato al principio di “sovranità nazionale” (attribuita al popolo) che troviamo sancito in maniera solenne in tutte le Costituzioni degli stati membri, e ovviamente, anche nella nostra. A questo punto, quindi, una volta stabilito che la competenza a legiferare in materia è del Parlamento Italiano, espressione del voto libero, eguale, personale e segreto di tutti noi cittadini, occorre specificare perché unioni di questo genere non possono in alcun modo essere accostate né al termine “famiglia”, né al termine “matrimonio”.

Quanto al primo punto, una condizione ostativa di grossa portata è rappresentata proprio dal nostro dettato costituzionale, laddove all’articolo 29 precisa che “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”, laddove col verbo riconoscere si sottintende la natura primigenia del nucleo familiare, preesistente alla stessa idea di Stato, perfettamente aderente alla visione dialettica hegeliana (laddove la tesi era proprio la famiglia, che andava a dissolversi nell’antitesi società civile per poi arrivare alla sintesi Stato), mentre con “società naturale” il costituente ha voluto indicare un concetto ben preciso dell’idea di famiglia, ossia quello di famiglia “tradizionale”. Uomo e donna, e nulla più. Una visione monistica che si adattava perfettamente ai valori fondanti della società del 1948, e, tutto sommato, anche di quella in cui tuttora ci troviamo. All’obiezione secondo la quale il legislatore non avrebbe indicato espressamente l’obbligo della diversità di sesso, ci sentiamo di rispondere che è perché il legislatore aveva ben in mente l’istituto familiare noto fin dagli albori della civiltà umana, e che la diversità di sesso doveva essere per forza di cose un dato assodato, sottratto naturalmente alla relatività dei valori propria della società attuale. Contesto ben diverso rispetto a quello del 1948. La famiglia, però, per poter essere definita tale, deve essere anche fondata sul “matrimonio”.

Quando tutte associazioni gay, a vario titolo, apertamente dichiarano che “non occorre un pezzo di carta per volersi bene”, dimenticano che il matrimonio è istituzione assai antica, rappresenta la soluzione che la società ha trovato per superare il modello della poligamia, che, premettendo che si basa sulla eguaglianza morale e giuridica dei coniugi (il secondo comma del già citato art. 29) ha un contenuto che non è in alcun modo riducibile esclusivamente alla “affectio maritalis” che ritroviamo anche nelle cosiddette famiglie “di fatto” (eterosessuali, con presenza di figli), ma che spazia dall’individuazione di diritti successori inalienabili, di altri diritti economici, dell’obbligo della coabitazione, fino a un complesso catalogo dei “diritti della prole” (art. 30 Costituzione e art. 147 codice civile). Ecco, è proprio la presenza dei figli, a nostro modo di vedere, e la complessità dei diritti che gli sono attribuiti, che segna un netto discrimine tra ciò che è famiglia e ciò che non lo è. Il legislatore costituente del 1948, e prima di lui quello del codice civile del 1942, doveva avere ben in mente un idea di matrimonio naturalmente rivolto alla procreazione, nell’idea di uno sviluppo coerente, potremmo dire di stampo “hegeliano”, dell’intera società italiana.

1 commento:

di Fabrizio Vaccaro ha detto...

ma allora una coppia etero che non riesce ad avere figli non è una famiglia?
non sono d'accordo con quanto espresso, ma bell'articolo.